Sviluppata terapia genetica per combattere il cancro al fegato

In uno studio topi geneticamente modificati per rispondere agli antigeni umani sono stati esposti ad un antigene comunemente riscontrato nel cancro del fegato umano.

In uno studio condotto presso il Georgia Cancer Center, USA, topi geneticamente modificati per rispondere agli antigeni umani sono stati esposti ad un antigene comunemente riscontrato nel cancro del fegato umano.

L’antigene ha attivato il sistema immunitario e alcune cellule T di topo hanno sviluppato la capacità di attaccare il cancro del fegato.

I ricercatori hanno prelevato geni che codificano i più potenti recettori dell’antigene del cancro del fegato presenti sulle cellule T del topo e li hanno trasfettati in cellule T umane.

Le cellule T umane ingegnerizzate risultanti hanno anche preso di mira il cancro, senza danneggiare cellule epatiche sane.

Come riportato nella rivista Hepatology, i grandi tumori del fegato in topi relativamente piccoli hanno iniziato a regredire circa 20 giorni dopo il trattamento e sono scomparsi completamente entro il 41° giorno con l’aiuto di uno dei recettori.

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti, l’incidenza di nuovi casi di cancro al fegato nel Regno Unito è aumentata del 38% tra il 2003 e il 2012.

Nel 2012, quasi 23.000 persone sono morte per cancro al fegato, che rappresenta un aumento del 56% dei decessi dal 2003.

Successivamente, il team di scienziati prevede di collaborare con l’ospedale Piedmont Atlanta (USA) per recuperare cellule T, cellule cancerose del fegato e tessuto sano da pazienti sottoposti a intervento chirurgico e per posizionare i geni del recettore del topo su quelle cellule T.

Le cellule saranno, quindi, monitorate in un laboratorio per vedere quanto combattono i tumori del fegato e come reagiscono ai tessuti sani.

Il team ha spiegato che se le cellule T producono un attacco robusto contro il cancro, senza danneggiare le cellule sane, il prossimo passo sarebbe testare il trattamento negli studi clinici. Con questi geni del recettore delle cellule T, si potrebbe essere in grado di umanizzare i geni per aiutare i pazienti.

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