Economia

Oltre il petrolio: l'Arabia vuole il fondo sovrano più grande del mondo

Il governo di Riyad annuncia la quotazione del 5 per cento di Aramco per portare a 2mila miliardi la dotazione del "tesoretto" con cui vuole battere il primato della Norvegia. Il paese arabo aprirà ulteriormente agli investimenti internazionali per reagire al crollo del prezzo del greggio

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MILANO - "Uscire dalla dipendenza del petrolio": soltanto qualche anno fa una frase simile sarebbe stata bollata come eresia economica. Perché sarebbe stato impossibile immaginare l'Arabia Saudita che si rende autonoma dalla materia prima che l'ha posta al centro degli equilibri politici del Medioriente e che ha fatto ricchissimi i membri delle tribù che da secoli dominano la penisola araba. Invece, la rivoluzione energetica in atto con l'avvento delle rinnovabili e il crollo del prezzo del petrolio - innescato in parte proprio dall'Arabia - stanno cambiando tutti gli equilibri geopolitici e finanziari

Non sorprende, quindi, il piano appena annunciato dal governo di Riyad: lo ha rivelato il vice-principe ereditario, Mohammed ben Salmane in un'intervista alla tv Al-Arabiya, in cui si prevedono misure che dovranno realizzarsi da qui al 2030: quasi 15 anni in cui il regime whanabita vuole creare "il più grande fondo sovrano al mondo", con una dotazione che si prevede debba avere oltre 2mila miliardi di dollari (circa 1780 miliardi di uero). Se la cifra verrà raggiunta, batterebbe il "tesoretto" in dotazione al fondo sovrano della Norvegia, che al momento dispone poco meno di 870 miliardi di dollari di investimenti sparsi per il mondo.

Nel fondo confluiranno i proventi della vendita della partecipazione di Saudi Aramco. "Questo fondo - spiega Mohammed ben Salmane - detronizzerà quello norvegese (che pesa 866 miliardi di dollari) e controllerà oltre il 10% della capacità di investimento del mondo". Il vice principe ereditario, 30 anni, presiede Consiglio degli Affari economici e per lo sviluppo, che supervisiona Saudi Aramco ed è il pilastro economico del paese.

Per alimentare il fondo, l'Arabia saudita sarà "costretta" ad un altro passo impensabile solo qualkche stagione fa: la quotazione del gigante di stato Aramco, la società che controlla le più grandi riserve di petrolio del paese. Il vice-principe ha previsato che sul mercato finirà circa il 5 per cento di Aramco: ma perché la quotazione abbia successo, secondo il parere degli analisti - l'Arabia dovrà rivelare l'ammontare delle sue riserve, processo indispensabile per valorizzare al massimo le azioni offerte sul mercato. Fatto altrettanto rivoluzionario, visto che il dato è sempre stato custodito gelosamente dai sauditi per non influenzare il prezzo del greggio e non dare vantaggi ai concorrenti.

Ma quanto sta accedendo ha chiaramente a che fare con la nemesi storica: a scatenare la guerra dei prezzi è stato aper buona parte l'atteggiamento dell'Arabia che ha incrementato le quote di produzione del greggio nel tentativo di mettere fuori gioco i produttori americano di shale oil. L'Arabia, a detta degli addetti ai lavori, riesce a guadagnare anche a quote attorno ai 25-30 dollari al barile, mentre la maggior parte degli operatori americani deve arrivare almeno fino a 70 dollari. Per non parlare di chi si è impegnato in produzioni ancora più costose, dal Venezuela al Brasile e in parte anche la Russia.

Venuto meno l'accordo tra i paesi produttori, che soltanto una settimana fa a Doha non sono riusciti a convincere l'Iran, ora l'Arabia si vede costretta a prendere provvedimenti. Facendo così capire che il prezzo del greggio rimarrà sugli attuali livelli ancora a lungo. Venendo meno i ricchi incassi dalla vendita del greggio, ora i sauditi devono provvedere alle entrate in modo alternativo: investendo al meglio quanto accumulato in questi anni. Ma cominciando a vendere quote del loro gioiellino: Il principe saudita ha spiegato che il fondo di investimento sovrano sarà aumentato a 7mila miliardi di riyal (2mila miliardi di dollari), dagli attuali 600 miliardi di riyal (160 miliardi di dollari).

Ma non è finita qui. L'Arabia Saudita deve fronteggiare la crescita economica dell'Iran - suo grande rivale storico dell'area mediorientale - dopo la fine dell'embargo, che sta portando nuovi investimenti internazionali al governo di Tehran. Per reggere il passo, il principe saudita ha annunciato piani ambiziosi che vanno nella medesima direzione: portare la quota dei privati nell'economia locale al 60 dal 40 per cento. Tutto questo dovrebbe portare alla riduzione del tasso di disoccupazione al 7,6% dall'11% e la crescita del reddito non petrolifero a mille miliardi di riyal (267 miliardi di dollari) dagli attuali 163 miliardi di riyal (44 miliardi di dollari).